Ha mirato e sparato ma non voleva uccidere Stampa
Lunedì 14 Settembre 2009 00:10
Il Tempo - Interni Esteri
 
 
 
Mattina di un giorno qualunque, una domenica di due anni fa. In un'area di servizio ad Arezzo tifosi della Lazio e della Juve s'incontrano per caso. Un accenno di tafferuglio e due pattuglie della stradale intervengono, poi uno sparo in aria fa scappare i ragazzi che litigano. Le gomme stridono sull'asfalto, è un fuggi fuggi generale. All'improvviso un altro sparo risuona nell'aria, uno sparo dapprima negato ma che molti testimoni hanno sentito. Sono le 9.15 dell'11 novembre 2007, Gabriele Sandri muore così, il collo trapassato da un proiettile esploso dalla Beretta d'ordinanza dell'assistente di polizia Luigi Spaccarotella. Ci sono voluti due anni e un lungo, tormentato processo, per arrivare a una verità giudiziaria che forse verità non è, a una sentenza duramente contestata dalla famiglia di Gabbo, già pronta a impugnare il provvedimento in appello. Quel poliziotto, Luigi Spaccarotella, è stato condannato a sei anni di reclusione per omicidio colposo, il pubblico ministero ne chiedeva 14 per omicidio volontario. Ieri sono state pubblicate le motivazioni. E il perno ruota tutto intorno a una sfumatura giuridica tanto lieve da sembrare inconsistente, eppure tanto profonda da valere la vita di un ragazzo. È il dolo eventuale, che qualifica lo stato d'animo di chi commise quel reato: lanciarsi all'inseguimento con la pistola in pugno, spianare l'arma mirando con le due braccia tese, sparare verso la Renault Megane di quei ragazzi che scappavano dall'autogrill Badia al Pino di Arezzo. Voleva davvero uccidere, il poliziotto? Voleva colpire Gabriele Sandri? Domande che la Corte d'assise d'Arezzo ha sciolto dando piena fiducia a Spaccarotella: «Mai e poi mai poteva accettare che il proiettile finisse per colpire, e addirittura uccidere taluno degli occupanti», annotano i giudici nelle 143 pagine del provvedimento. Ma sono domande tuttavia che non hanno alcun senso e che partono da un presupposto errato, cioè che Spaccarotella volesse colpire le gomme dell'auto. Trascurando l'unico particolare di rilievo in tutta questa maledetta storia: da quella prospettiva, le gomme della Megane non erano visibili. Il proiettile infatti attraversò sì l'autostrada, ma la visuale era coperta in quel tratto dalla siepe. Irrilevante la deviazione che l'ogiva subì a causa dell'impatto con la rete metallica, che deviò il colpo, è vero, ma solo in orizzontale. Quel che rileva semmai è l'altezza dello sparo, quel che rileva è che lo stesso Spaccarotella, sentito dal pm subito dopo i fatti, mai ha parlato di voler mirare alle gomme, anzi ha sempre continuato a difendere la tesi del colpo accidentale partito per sbaglio dopo aver inciampato nella corsa: «Preciso che avevo considerato che se avessi sparato con l'intento di colpire l'auto da quella posizione, avrei potuto colpire invece una qualsiasi delle autovetture che a quell'ora percorrevano le due carreggiate», la sua dichiarazione a verbale. Cinque testimoni però smontano la tesi dell'incidente, dichiarando di averlo visto puntare la pistola, e anzi gli stessi giudici negano questa possibilità: voleva sparare alle ruote, questa la tesi, ma ha sbagliato mira, il proiettile è stato deviato dalla rete, Gabriele Sandri è morto. Omicidio per colpa, insomma, e nulla importa se Spaccarotella non ha mai ammesso nulla di tutto ciò: la corte sostiene che «il colpo era direzionato, non diretto, si badi bene, ma direzionato verso una parte della vettura collocabile all'incirca non oltre la metà della sua altezza». Gli elementi contrari però sono molti. I testimoni innanzi tutto, che cristallizzano l'immagine del poliziotto che prende la mira; la visuale, ricostruita dai periti, in base alla quale da quel punto di fuoco la parte bassa della Megane era coperta. Allora è la domanda di partenza a essere sbagliata: se davvero cioè l'agente voleva uccidere. La domanda giusta è invece: «A cosa mirava Spaccarotella?» Da quella posizione poteva mirare solo all'abitacolo, questa la risposta, anche se certo non voleva uccidere Gabriele Sandri in persona, che neppure conosceva. Ecco allora la nozione del dolo eventuale: per la dottrina e anche per la giurisprudenza, da ultimo la sentenza 44712 della Cassazione del dicembre 2008 che i magistrati di Arezzo trascurano, è l'accettazione del rischio di procurare l'evento-reato, la decisione di agire costi quel che costi, vale a dire la previsione del rischio e delle sue eventuali conseguenze. Quale rischio poteva comportare allora, non solo per un poliziotto con un minimo d'esperienza ma agli occhi di chiunque, la decisione di sparare attraverso l'autostrada contro l'abitacolo di una macchina in corsa, costi quel che costi? Gabriele Sandri, colpevole d'essere tifoso e di trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato, l'ha scoperto sulla sua pelle.
Ultimo aggiornamento ( Lunedì 09 Novembre 2009 15:24 )